
Nessuno può giudicare gli altri, perché nessuno sa niente degli altri. A parte quello che ci lasciano intuire di loro. Giudicare qualcuno è come cristallizzarlo nel fotogramma di quel momento, quando ognuno di noi non è più quello che era l’attimo precedente e sarà diverso l’attimo successivo. Significa non credere che sia possibile che una persona possa cambiare, evolvere. Fatto sta che siamo tutti in divenire, siamo un movimento perpetuo, e giudicare una persona equivale a congelarla nello stato transeunte di quell’istante, equivale a negare la possibilità di una sua trasformazione, anzi, per meglio dire, di una sua “trasmutazione”. Mi fa pensare al funesto dogma neoliberista “There is no alternative”, che coincide con l’intrasformabilità del presente e quindi con la fine della Storia. Che è quello a cui stiamo assistendo da oltre trent’anni. E invece per fortuna sia il presente sia chiunque viva su questo pianeta è trasformabile, perché niente resta mai come è. Un proverbio popolare francese dice: “Tout casse, tout passe, tout lasse: il n’est rien et tout se remplace” (Tutto si rompe, tutto passa, tutto stanca. Non è niente, e tutto si rimpiazza). Che altro non è se non la reinterpretazione moderna, benché meno solenne, del “Panta rei” (πάντα ῥεῖ “tutto scorre”), la proposizione con cui gli eraclitei esprimevano l’eterno divenire della realtà.
David Sebastiani
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